| Da La Prealpina - novembre 2005 | 
| Dalla
      terra alla forma 
       L’artista samaratese affida
      alla terra e alla materia che manipola un forte valore simbolico: «L’elemento
      rimanda al senso, al primordiale, ad un’appartenenza culturale»,
      spiega, «e creare delle forme coincide con lo scaturire, con il liberare
      i significati che la terra contiene». Sono configurazioni orizzontali,
      panoramiche su paesaggi e città dell’anima, e configurazioni verticali,
      che si ispirano all’arte totemica. Vi si leggono la storia dell’uomo,
      la natura e la cultura, sotto forma di pagine di libro che crescono sugli
      alberi e che, per la ciclicità di ogni cosa, alla terra sono destinate a
      ritornare. Vi si legge la radice, che nutre e tende all’elevazione; lo
      stupore e l’aurora di un nuovo mondo. «Attingo da diverse culture,
      dalle esperienze educative vissute in America Latina, dove il lavoro
      artistico è diventato possibilità di incontro interculturale, di
      educazione alla pace e alla convivenza democratica». Sartori,
      architetto e ceramista, ha insegnato per molti anni nelle scuole medie di
      Samarate e San Macario, realizzandovi intereventi capaci di valorizzare le
      abilità creative dei bambini. Secondo una concezione che rimette l’arte
      alla sua funzione pubblica, e che ridona dignità alle arti decorative. «Credo
      in un’arte pedagogicamente attiva, che sappia umanizzare l’ambiente,
      renderlo positivo», spiega l’artista, che ha vissuto l’esperienza
      rivoluzionaria del Nicaragua all’interno del movimento artistico
      Talamuro: «ogni esperienza rivoluzionaria valorizza la dimensione
      utopica, creativa; il Nicaragua di quegli anni era un vero laboratorio
      internazionale, e noi eravamo un gruppo che lavorava sulla spazialità in
      modo organico». L’opera
      per Sartori dev’essere pensata in un contesto, e nel mondo
      contemporaneo, dove è stata abolita la committenza, una libertà creativa
      illimitata ha condotto l’arte a un ripiegamento su se stessa, all’autoreferenzialità
      o perfino all’assenza di contenuto: «il limite è ciò che spinge alla
      ricerca di nuove strade, a una tensione infinita; mi rifaccio al concetto
      di infinito leopardiano, per cui l’esperienza del limite non funge da
      argine all’espressione, ma al contrario la esalta, restituendo alla
      libertà il suo significato più intenso». |